Cena di benvenuto

Ci sono due perone Giapponesi che lavorano nel nostro team e questa sera insieme ad Aaron hanno organizzato questa cena in un costosissimo ristorante di Tokyo. E’ stato un gesto davvero carino e una sorpresa. Mi ero scordato di quanto amo la cucina Giapponese, così soffisticata e allo stesso genuina e delicata. Le scorse volte che sono stato in questo paese me ne ero subito reso conto. In verità era un po’ un sogno nel cassetto fare un’esperienza qui a Tokyo. Adesso che anche questo sogno e’ realtà, stento quasi a credere che sia tutto vero.

Il mio amico Happy

Il primo giorno a Tokyo ho conosciuto questo batuffolino di un chilo e mezzo. Si chiama Happy ed e’ il cane di Aaron. Razza PuChi, ovvero un incrocio tra Barboncino e Chiwawa, mette molta tenerezza vista quanto e’ piccolo.  Penso diventeremo grandi amici. Aaron ci ha portato a fare un giro alla spiaggia a Kamakura Yuigahama, che dista a circa un’ora e mezzo di macchina da Tokyo. Un buon inizio.

Destinazione Tokyo

 Eccomi qui su questo bellissimo Airbus 380, gigante dei cieli, che ondeggia dolcemente sopra le nuvole. Silenzioso, comodo, con due ali che non finiscono più, è  la prima volta per me su questo aereo a due piani e devo dire di essere rimasto meravigliato. Ebbene sì ho deciso, vado a Tokyo. Sono partito con un po’ di tristezza nel cuore, lasciare i tanti amici che ho a Seattle, e che avevo finalmente ritrovato, non è stato facile. Ma come ho detto a Nello, viaggiare è il mio destino. Abbiamo fatto colazione stamattina in una penetteria francese La Parisienne, uno dei miei posti preferiti dove andavo spesso quando vivevo a Seattle. Poi ci siamo salutati e mi sono diretto  verso l’aeroporto pensando che tra tutte le opzioni che avevo, questa è forse quella più rischiosa e ricca di incognite. Ma è proprio per quello che mi piace, anche perché a lungo termine potrebbe rivelarsi la più remunerativa. Quindi perché non tentare? Se dovesse andar male le alternative che ho a questo punto sono tante. Quindi non mi preoccupo e mi mantengo fiducioso. Staremo a vedere…

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Un tuffo in California

DSC_1079Non sentivo Alicia da un pezzo, poi ho visto su delle foto di Wechat che si trovava a San Francisco e ho deciso di scriverle. Non era in vacanza, era li’ per cercare potenziali investitori per la sua nuova ditta Digital A.I.R Innovation Company. “Hai bisogno di aiuto?” – le ho chiesto. Non ci ha pensato due volte a dirmi di si’ e a invitarmi ad andarla a trovare. Il giorno dopo ero sull’aereo. Ci ho messo un po’ per arrivare al suo hotel nella Silicon Valley. Si e’ presentata con Aaron, il suo fidanzato da ormai qualche anno. Non me lo aveva ancora presentato ma di lui sapevo già tutto. Mi parlava spesso di lui. Un bell’uomo, londinese, un passato da modello di Giorgio Armani, altissimo, quasi il doppio di Alicia. E’ del mio stesso segno, come me e’ patito di corse e ama l’Indonesia. Non sapevo pero’ del suo talento di grafico e quando mi ha raccontato di ciò che si occupava la sua ditta inizialmente ero un po’ scettico. Dopo un cena al ristorante thailandese abbiamo deciso di rivederci per colazione. Il mattino dopo sono andato all’hotel dove alloggiavano e Aaron per quasi 2 ore mi ha fatto vedere il prodotto su cui stanno lavorando. L’ho trovato un progetto interessante, innovativo, ero addirittura sorpreso di come fosse arrivato a mettere in piedi un’idea del genere.  Pare che ci sta lavorando già da un anno con un gruppo di altre persone, facendo la spola tra Tokyo e Pechino. Inizialmente mi ha parlato di voler aprire un ufficio a San Francisco e mi sono reso subito disponibile a dare loro una mano in questo senso. Pero’ sono passate ormai due settimane da quel giorno, e siamo ancora in trattativa. Loro vorrebbero che mi trasferissi inizialmente a Tokyo per poi definire meglio le cose. Non sono pero’ convinto al 100% e non ho ancora preso una decisione definitiva se buttarmi o pure no, anche se loro vogliono che faccia già il biglietto per la prossima settimana. Tokyo la conosco, e’ una città carissima. DSC_1166Vedremo… Certo e’ stato bello incontrarli e fare un tuffo in California, ho tanti ricordi a San Francisco e viverci sarebbe proprio bello perché  qui c’e’ una grossa comunità Italiana e Cinese. La Silicon Valley poi e’ la mecca dell’industria dell’High Tech , chissà che qualcosa non maturi. Se son rose fioriranno, diceva qualcuno. Pero’ per il momento non c’e’ ancora niente di sicuro. Sono tornato da Carlo a Salem in treno, un viaggio estenuante di 15 ore.  Ma ne e’ valsa la pena.

Eccesso di potere

traffic-ticket-e1425686334987-700x299Gli Americani mi sembrano ossessionati dalla smania di voler dimostrare a tutti, soprattutto i più deboli,  la loro superiorità, il loro indiscusso potere, ma spesso ci fanno delle brutte figure. L’altro giorno ho preso l’autobus per il centro, come faccio di tanto in tanto. Ero abbastanza carico di roba, portavo con me un paio di borse e uno zaino, quindi non avevo le mani libere. Improvvisamente il controllore sale a bordo e inizia a controllare i biglietti dei passeggeri, e’ la seconda volta che mi succede in una settimana. Faceva il duro con la divisa e gli occhiali da sole. Cerco il mio biglietto, ne trovo 3 nelle tasche ma non sapevo quale era valido. Li mostro al controllore che mi guarda scuotendo la testa e mi chiede subito di favorire i documenti. Ho cercato di difendermi: “Stia tranquillo, il biglietto l’ho pagato, mi dia solo un minuto”.  Nello stesso istante mi scappa il telefono di mano e cade a terra. Mi chino e lo riprendo goffamente, ma il tipo si spazientisce: “Deve scendere subito”. Mi sentivo come se stesse per arrestarmi. Mi ha imbarazzato di fronte a un autobus pieno di gente. L’ho seguito e siamo scesi. Una volta sul marciapiede, ho posato le borse e, di fronte a lui, ho finalmente estratto il biglietto giusto dalla tasca dei jeans anteriori e giel’ho spiattellato davanti al naso. Improvvisamente la faccia si e’ trasformata in quella di un idiota e mi dice: “Mi dispiace….” per poi dileguarsi in fretta. Non ho detto niente. Sono rimasto deluso e senza parole. Posso capire che ci sono un sacco di barboni nel centro di Seattle. Ma era necessaria quella dimostrazione di forza?

Qualche Italiano mi ha fatto notare che forse e’ meglio un paese come questo, dove almeno i controlli li fanno e chi sbaglia paga.  In Italia poi, pare che nessuno il biglietto lo paghi, e tantomeno pagano le multe. Il paradosso pero’ e’ che, a Seattle, è l’autista dell’autobus che ti vende i biglietti.  Quindi riuscire ad entrare in un autobus senza pagare è quasi impossibile. Dovresti sgattaiolare dentro da un’altra porta senza che il conducente ti veda. Per questo che dico che questo eccesso di forza non è giustificato e mi ha lasciato davvero perplesso. Qualcuno mi ha detto che si tratta di ignoranza. Secondo me si tratta invece di un fattore culturale, e soprattutto di pregiudizio. Ho sentito anche che in altra parte della città, dove abita gente più benestante e barboni non ce ne sono, il conducente si fida degli utenti e lascia salire e scendere la gente dalla porta sul retro senza fare il biglietto. Pertanto, se fossi stato veramente un barbone, mi sarei incazzato ancora di più. Il pregiudizio ferisce la dignità delle persone.  Non stupisce quindi che, qui in America, alcuni poliziotti abbiano ucciso delle persone disarmate.  L’ultima volta e’ successa la scorsa settimana quando un uomo, che aveva un fanalino della macchina rotto, e’ stato fermato e poi ucciso inspiegabilmente con 11 colpi di pistola da un poliziotto.  Il poveretto era un uomo di colore…

Questo secondo me e’ eccesso di potere e pregiudizio…. In questo l’America sta facendo un passo indietro…

Seattle Sounders

E’ incredibile entrare allo stadio di calcio dei Seattle Sounders e vedere 40 mila spettatori. Quando sono arrivato in questa città più di 20 anni fa questo sport era amato solo da pochi. Ora invece sono qui sugli spalti e sento pure gli ultras cantare. Molti dei cori sono copiati da quelli europei e qui il capo degli ultras non e’ un malavitoso o rissoso ribelle, ma probabilmente un semplice stipendiato da parte della società di calcio, come gli animatori che organizzano le attività di gruppo nelle vacanze organizzate. Non c’e’ violenza e non imponenti spiegamenti di polizia, solo tante famiglie che assistono a una sana partita di calcio, passata mangiando popcorn e bevendo una birra. Non mi sembra vero. Il livello non e’ certo quello delle nostre partite di serie A, ma visti gli investimenti fatti e l’imponente crescita di popolarità di questo sport, c’e’ da aspettarsi che un giorno ci sorpasseranno anche in quello. Dicevo a Nello durante la partita: “Hai visto Seattle… Una volta non c’era quasi niente di Italiano qui, poi e’ arrivato il vino, il caffe’, la pasta, la pizza, il gelato e la città e’ piena di ristoranti Italiani. A adesso pure il calcio. Seattle e’ proprio cambiata…”.  Lui rideva e annuiva. Roba da non credere.

L’arsenale

Certo che Dan non ha badato a spese per armarsi fin sopra i capelli. Quando mi ha fatto vedere il suo arsenale di armi non ci potevo credere. La sua paura non e’ tanto quella di difendere la sua casa da qualche ladro ma quella di poter rispondere ad un eventuale attacco  del governo Americano. Le teorie cospirazioniste spopolano in questo paese e a volte hanno veramente del ridicolo. A me le armi non piacciono ma ho voluto documentare questo fissazione degli Americani di armarsi, che e’ un diritto sancito dal secondo emendamento della Costituzione americana, che recita: «A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed», «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Quindi, parlando in termini di libertà, non si può vietare a nessuno il diritto di difendersi anche sparando. È un dilemma non nuovo, per gli Stati Uniti d’America, quello dell’indecisione tra la tutela della sicurezza personale da un lato e di quella generale dall’altro. La risposta va oltre il potere delle lobby delle armi e si può spiegare solo nella tradizione storica degli americani di avere a che fare con le armi, pronipoti – quali sono – delle avventure del Far West.

L’America non e’ solo Apple, Google, Facebook… ed e’ bene non dimenticarlo.